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Album & singles of the year 2012

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Album of the year 2012

1. BREATHLESS Green to blue

label Tenor Vossa, EU 2xLP in g/fold sleeve
[also available on digi-pack 2xCD]

“Without any exception, Dominic Appleton is my living favorite male vocalist”
Ivo Watts-Russell [4AD label founder/fondatore della 4AD]

“This music is killing me. The vocals, the guitar, the drums. I love absolutely everything”
Kramer [produttore di Low, Galaxie 500, B. Surfers]

“Seguirne la carriera passo dopo passo è stato un privilegio, un regalo del destino, un sogno attraverso le decadi e i capricci della storia”
Aldo Chimenti [Rockerilla]

I Breathless rappresentano uno dei più coerenti e brillanti esempi di band indipendente. Se pubblicassero, almeno una volta, un album per i loro amici della 4AD guadagnerebbero in un sol colpo la visibilità che non hanno mai avuto – e mai hanno cercato – in quasi trent’anni di storia. Anche il nuovo lavoro esce dunque per la Tenor Vossa, etichetta da loro stessi gestita, comunque ben distribuita. Di recensioni sull’album ne trovate molte sul web e, di più interessanti, corredate di interviste, sulla stampa specializzata.

Premesso che Green to blue è il disco più coinvolgente ascoltato quest’anno, l’articolo che state leggendo ne sfiora solamente i contenuti. Lo scopo di queste righe è invitare chi ancora non conosce la formazione londinese a scoprirla finalmente ed in particolare ci rivolgiamo a chi ama il dream-pop, lo shoegaze, i Cocteau Twins, i Sigur Ròs prima maniera e ovviamente ai tanti seguaci della mai domata new-wave. I Breathless d’altronde nacquero nel 1984 e qualche traccia dei Joy Division si scorge ancora.

Noi li consideriamo gli autentici maestri di quella musica creata per avvolgere, estraniare ed emozionare.
Le sensazioni che questo disco sprigiona vengono preannunciate dalle tinte accese e calde della foto di copertina. Talvolta veniamo cullati da melodie dolci ma più spesso è la malinconia a prevalere, con testi che parlano della vulnerabilità dei sentimenti, cantati dalla magnifica voce di Dominic Appleton che si erge solenne sopra un denso manto sonoro di psichedelia post-floydiana in cui le chitarre di Gary Mundy, il basso di Ari Neufeld, E-bow e filtri vari creano l’inconfondibile suono-Breathless. Un album che sin dal primo brano rivela un romanticismo profondo ed affascinante, con dei sobbalzi emozionali intensi e pervasivi che scandiscono via via il lungo percorso di un lavoro ambizioso.

Se da una parte desideriamo far conoscere la band ad un pubblico più ampio, dall’altra ci rendiamo conto che l’ascolto della loro musica esige un’attenzione ed una partecipazione che va consumata in un’area limitata, protetta dalla divulgazione consumistica. Se un giorno uno di questi brani finisse in uno spot televisivo o nella colonna sonora di un film di successo, credo che tali barriere crollerebbero dissolvendo il fragile spazio entro il quale possiamo vivere questi momenti di magia.
E’ musica che va lasciata scorrere in una dimensione nostra, intima, riservata e ognuno la sentirà con sfumature e percezioni lievemente differenti. Non può incontrare il gusto di tutti ma se piace poi la si ama e si instaura un legame personale con essa.

In concert!

TORINO Blah Blah Ven. 07 Febbr. | BOLOGNA Freak Out Club Sab. 08 Febbr.

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2. TINDERSTICKS The something rain

label Constellation, USA De-luxe edition w/cards, booklet and art-sheet insert
label City Slang, EU 180 g LP w/art-print [also on CD] deleted

Live at San Sebastian [“The something rain” album performed live]
label Lucky Dog, EU LP

Ci siamo abituati agli inevitabili alti e bassi di chi vuol suonare per professione e qui abbiamo a che fare col decimo album in dieci anni, senza contare live e colonne sonore ma considerando che il leader ha realizzato anche due dischi da solista. The something rain va collocato nella lista di quelli riusciti bene, assieme a Tindertsicks/I (1993), Tindertsicks/II (1995) e The Hungry saw (2008).
Il vocione di Stuart A. Staple potrebbe risultarvi indigesto se avete l’orecchio avvezzo a voci candide e radiofoniche. Proprio in quanto elemento fortemente caratterizzante, diventa insopportabile se il brano si trascina senza un chiaro obiettivo, come in passato è capitato più volte, ma se la musica lo sostiene rappresenta quel tocco in più rispetto ad altri gruppi che si muovono su sonorità affini. A conferma della bontà del nuovo lavoro, esce anche una versione dal vivo con 8 dei 9 brani dell’album eseguiti nel concerto di San Sebastian – l’esibizione migliore, a detta loro – in cui si apprezzano ancor più le orchestrazioni.

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3. GREENSHAPE Storyteller

label Sober & Gentle, EU LP [also on CD]

Un ragazzo francese con un passato tormentato da problemi familiari, alcool, troppi cambi di casa ed altro ancora, trova uno sfogo nella box. Ma le stesse mani sanno anche arpeggiare delicatamente le corde di una chitarra classica. Nel giro di qualche anno già scrive musica. Le idee ci sono, vengono elaborate in un lungo periodo e dopo un concertino in un locale di Parigi una modesta etichetta francese si dice interessata a licenziargli un album. Servirebbe però un conduttore, qualcuno capace di razionalizzare e dare omogeneità ai tanti proponimenti.

Oggi, a giochi fatti, col disco finito e con la piccola label in fibrillazione per la scritturazione di un musicista che le è valsa la distribuzione Sony France, può sembrare banale sentire l’interessato dichiarare che il produttore è stato fantastico, che ha capito perfettamente come doveva suonare il disco, che c’è stata empatia e bla-bla-bla le solite cose. Ma avendo ascoltato alcuni di quei brani “crudi” in fase di pre-produzione, non ci rimane che sottoscrivere gli elogi di Greenshape per Tore Johansson, il produttore che ha trasformato un vecchio battello in una sala di registrazione.
Qui, sullo specchio d’acqua del porto di Malmö, sono passati gli A-ha, Tom Jones e poi è stata la volta di New Order, Suede e molti altri.

Per Greenshape farsi un giro da queste parti è stato fondamentale per poter confezionare le sue ottime intuizioni melodiche in una forma elegante, elegantissima anzi.
L’inglese è la lingua più adatta per questo disco e la sua dizione è perfetta, cosa assai rara per un Francese.
Johansson ha optato per degli arrangiamenti marcati e spinti verso il dettaglio, valorizzando una voce dal timbro caldo tra i giochi precisi, cristallini di viola, violincello, piano e, ovviamente, di chitarra.
Elaborazioni che hanno trasformato un manufatto imbrigliato dall’ardore compositivo in un disco che risulta possedere un alto grado di compostezza.
Nonostante abbia delle grandi potenzialità non ha superato i confini della Francia e siamo per ora gli unici a proporlo oltralpe.

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4. GRIZZLY BEAR Shields

label Warp, EU 180 g 2xLP in g/fold sleeve [also on CD]

La banda di Edward Droste incontrò i favori della critica con il secondo album, l’interlocutorio Yellow house, uscito sette anni fa a marca Warp. Dopo aver compiuto un deciso salto qualitativo con Veckatimest (2009), il trio newyorkese si ripresenta con un doppio vinile che decreta ulteriori progressi non tanto stilistici quanto nella concretezza con cui è stato assemblato il lavoro.
I brani portanti, Sleeping Ute, Yet again, A simple anwer, Gun-shy e Half gate, presentano tutti e cinque una sezione ritmica decisa, netta che imposta bene lo spazio in cui si innestano larghe scie di tastiera ed un cantato, ora quieto ora vigoroso, sempre sicuro e seducente.
Un disco di personalità, con armonie ammalianti, una patina oldies e squisite inserzioni elettroniche nei momenti giusti.

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5. TAME IMPALA Lonerism

label Modular, AUS 2xLP [also on CD]

Molto chiacchierato, premiato come album-rivelazione dall’NME e da vari siti, Lonerism è senza dubbio un disco intrigante. Un miscuglio di low-fi, psichedelia retrò e pop che va ad impregnare un tessuto ruvido, spesso ed aggrovigliato che, così compatto, non consente adattamenti. Lo si accetta com’è oppure lo si respinge in toto come idea.
Musicisti giovanissimi, sorprendentemente abili nell’amalgamare il tutto senza indugi. Chitarre ed atmosfere ’70s ma senza perdersi in lunghe code virtuosistiche che in un disco odierno risulterebbero anacronistiche. Un album che oltretutto parte male e bisogna attendere il quarto brano per sentire qualche spunto interessante con Mind mischief, seguita dalla lisergica Music to walk home by. Poi improvvisamente il disco decolla con Why won’t they talk to me?, seguita da Feels like … (smaccatamente Beach House) e avanti fino alla fine con idee e una buona varietà di soluzioni. Il saluto è affidato, non a caso crediamo, all’immagine dell’alba della sorniona The sun coming’s up.

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Singles of the year 2012

 


1. OUTFIT Another night’s dreams reach earth again

label Double Denim, EU 4-trk. 12″ [Ltd. edition to 500 copies]

Secondo singolo del very british duo che dopo il bellissimo debutto Two island, ripropone la sua “soft-sophysticated-synth music” con un ottimo EP a 4 tracce.

> Ascolta/Listen 1

> Ascolta/Listen 2

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2. TOY Lose my way

label Heavenly, EU 7”

Semplice ma potente. Se Psychedelic Furs e Church sono dei ricordi graditi, questo 45 giri è irrinunciabile.

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3. FEAR OF MEN Born (B/w Green sea)

label Sexbeat, EU 7” [Ltd. edition to 300 copies]

Delizioso terzo singolo di pop frugale e genuino, scuola Sarah Records e dintorni.
Di scarsa reperibilità ma un 33 giri in uscita a Febbraio raccoglierà i lati A e B dei tre primi singoli della band.

> Ascolta/Listen Green sea