LOW Double negative (Sub Pop)
EU LP 20,99 >> 18,99
USA LP 20,99 [also USA crystal clear vinyl >> ask]
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Lo sfregio artistico
Ci sono delle abitudini – regole nate dalla consuetudine – e dei limiti entro i quali i musicisti possono scegliere di muoversi, oppure no. Sono dei confini che servono a definire lo spazio di interazione tra chi suona e chi ascolta. Si adotta cioè un linguaggio familiare fatto di suoni, ritmi e anche di parole, echi, riverberi e così via. Esso riesce a far “comunicare in musica” le due parti perché viene supportato da elementi che sono invece tecnici: la scelta di determinati strumenti, la lunghezza dei brani, il tipo di impronta (ossia la produzione atistica). Tra questi elementi, il volume è quello più scontato e dunque soltamente non ci facciamo caso.
I Low, band lenta e gentile, sottile nel comunicare l’inquietuduine con quietezza, ebbe tre anni fa un’improvvisa svolta con Ones and sixes (> review) e ci si domandava cosa sarebbe successo dopo.
L’ascolto del loro nuovo album è stato faticoso ed è stato stimolante.
I delicati Low ora addirittura sfregiano le regole del bon ton. Il disco inizia con un brano di apertura segnato da un nauseante sali-scendi di volume ma poi la musica comincia ad essere almeno accettabile, facendo trapelare qualche indizio su quale sia il senso di una scelta così dura.
Si potrebbe comodamente bollare Double negative come una versione distorta, estrema di Ones and sixes ma se siamo qui a parlarne c’è qualcosa in più.
Il tocco di genialità sta nell’aver utilizzato il volume come uno strumento: la saturazione del suono per evocare drammaticità e gravità. In alcuni momenti il rosso del vu-meter è talmente infuocato e sul punto di scoppiare che il fine dovrebbe essere proprio questo: arrivare al limite e poi oltrepassarlo per sentire – e soffrire – l’eccesso della nostra meschina umanità (di lì forse il titolo dell’album).
Suoni raggrinziti così li abbiamo già sentiti- citiamo per tutti Endless summer di Fennesz e Handwriting di Khonnor – ma con meno tensione. I Low colpiscono con asprezza per trasmetterci una sensazione di disagio. Un disco pesante ma interessante di cui salviamo una manciata di brani, tra cui l’incredibile Tempest ( > ).
Una tale esasperazione troverebbe una sua logica nella dissoluzione stessa della band: si sono cacciati in un vicolo cieco e sono arrivati in fondo. Ormai non possono tornare indietro e riproporsi lievi e candidi; non possono nemmeno spingersi oltre perché c’è un muro, ben raffigurato dal rumore. A meno che non registrino come atto finale una linea rossa di distorsione continua. Un album che appare come un messaggio artistico stile Bansky, ma qui ancora più risolutivo.
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f e l t
The long awaited reissues available on
High Quality vinyl – Deluxe g/fold sleeve & inserts
Remastered by Kevin Metcalfe under the supervision of Lawrence
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Band attiva nel decennio 1979-1989 imperniata sulla figura di Lawrence Hayward e (fino all’86) del chitarrista Maurice Deebank, conobbe vari cambi di formazione con alterne fortune.
Alcuni dischi risultano appesantiti da brani ripetitivi e quasi incorporei, altri contengono composizioni di una bellezza prodigiosa.
Amo definire The splendour of fear il disco più elegante della new wave.
Il cantato/parlato alla Lou Reed e gli insegnamenti dell’epocale Marquee moon (Television) rimasero la costante.
I vinili originali di questi album, per quanto preziosi, suonano deboli e anche le edizioni CD digitally remastered del 2003 sono una delusione.
Finalmente i “nastroni” sono stati consegnati in buone mani, quelle del super-esperto Kevin Metcalfe (colui che ha reso finalmente ascoltabile, dopo ventun anni dalla sua uscita, Disintegration dei Cure, per intenderci). Con a fianco Mr Lawrence.
info@martinrecs.com
Crumbling the antiseptic beauty mLP
The splendour of fear mLP
The strange idols pattern and other short stories LP
Ignite the seven cannons LP
The seventeenth century
(also titled Let The Snakes Crinkle Their Heads To Death) LP
Description >> here